Quando ero ragazzo, ero fidanzato con una fanciulla che poi sarebbe
diventata la mia prima moglie.
Vivevamo e studiavamo a Roma. Ci eravamo conosciuti al liceo artistico e
lei era di tre anni più piccola di me.
Quando accadde quel che sto per raccontare, lei aveva 16 anni e io 19.
Lei, Eliana, era originaria di un paesino del salernitano.
Come tutti gli anni, anche quella estate, qualche giorno dopo la chiusura
delle scuole, i genitori la mandarono in vacanza per un paio di mesi dalla
nonna, giù al paese di origine.
Passate le prime due settimane di 'quel' soggiorno, lei ebbe forti dolori
alla pancia, tant'è che la portarono in ospedale per una sospetta appendicite.
Io ero a Roma. Ero al primo anno di università e quello era periodo di
esami.
Appena seppi la notizia, nel fine settimana mi precipitati per
raggiungerla.
Sia per vedere come stava, sia perché mi mancava. Noi facevamo sesso tutti
i giorni e la costante liberazione quotidiana di ormoni cominciava a mancarmi e
a farsi sentire la necessità di fare sesso.
Lei prendeva già la pillola. E a quei tempi non era la norma per
una sedicenne.
La ginecologa, anche se Eliana era minorenne, conoscendo la situazione e la
mentalità della sua famiglia, non aveva esitato, con una scusa, a prescriverle
la pillola: ufficialmente, l’assunzione del contraccettivo serviva a regolarle
il flusso mestruale.
I genitori bigotti e retrogradi non avrebbero mai digerito il fatto che sua
figlia prendesse la pillola come contraccettivo. "E per farne cosa? Per
farsi sbattere da uno spiantato, attore, universitario e squattrinato?!"
Mi sembra di sentirli ancora. No, no… non era il caso che si certificasse che
la figlia aveva rapporti con uno come me. E per di più lei era ancora
minorenne!
Comunque se loro, i genitori, non andarono giù a trovarla non fu
per negligenza: lavoravano entrambe.
E poi, sapevano che la loro figlia era in buone mani: oltre alla nonna,
c'era anche la zia paterna, che viveva lì e che era caposala proprio del
reparto chirurgia di quell'ospedale.
Devo dire inoltre che proprio i genitori pur non presenti, furono un
elemento determinante in quel che sto per raccontare.
Insomma… il giorno dopo l’intervento mi precipitai in ospedale entrai nella
stanza che mi era stata indicata e trovai Eliana che dormiva.
Era voltata verso la finestra. Appena mi avvicinai per darle un bacio mi
sentii cacciare via con un gesto del braccio, mentre diceva con la voce
impastata:
"Basta! Adesso basta... fammi dormire... non voglio! Non voglio!
Basta!"
Rimasi male per questa sua reazione. Mi ero fatto più di trecento
chilometri col caldo, su un autostrada affollata da migliaia di vacanzieri e…
mi aspettavo almeno un saluto.
Lascia da parte il mio disappunto e provai a pensare che potevano essere i
postumi dell’anestesia totale o, forse, poteva essere una reazione dovuta al
fatto che venisse continuamente svegliata dal personale dell’ospedale: prelievi
di sangue, rilevamento della temperatura, cambio della flebo...
Presi una sedia e mi accostai al letto, lasciandola dormire.
Quando si rese conto, svegliandosi dopo un paio di ore che ero lì mi saluto
con calore e affetto.
Ancora una volta giustificai la sua reazione di prima, come gli effetti
postumi dell’anestesia. Quel suo abbraccio fu sufficiente a far si che tutto il
mio disappunto svanisse in un istante.
Peccato, però, che si svegliò era già scaduto l’orario di visita: l'
infermiere, un tipo burbero anche se molto giovane, era passato già due volte
per invitarmi ad uscire.
Rimasi un altro po’ ma, vedendo che lei era più assente che presente,
dovetti cedere alle insistenze di chi mi esortava con vivacità a lasciare
l’ospedale.
..............................
Arriva settembre…
Tornati a Roma, dopo un po’ di giorni, vedendo che lei era sempre triste e
non mi guardava più negli occhi, cominciai a preoccuparmi.
Eliana era una morettina molto solare, riccia, carina, minuta e con tutte
le forme a posto, amplificate dalla bellezza di quella età. Uno splendore,
insomma. Non mi rassegnavo a vederla così spenta.
Da quando era tornata dal paesino della nonna, non era più la stessa. Ed io
volevo capire da cosa dipendesse il protrarsi così a lungo, di quell'umore che
la rendeva a me irriconoscibile.
Dopo mille insistenze e decine di approcci diversi, riuscì finalmente a
farla aprire.
Cautamente e con mille titubanze, arrivò a dirmi, prendendola molto alla
lontana, che le era successo una cosa brutta in ospedale. Anzi, più di una...
Ricordo il suo racconto come se lo stessi rivivendo ora, che lo sto
scrivendo. non mi sembrano passati trentanni da quando mi ha raccontato quelle
cose.
Lo ricordo e lo rivivo con rabbia, anche se una rabbia raffreddata e
diluita da tre decenni.
Prese a parlare, come chi non aspetta altro che potersi liberare di un
macigno che opprime l' anima.
Parlò sempre lei da quel momento. E più andava avanti e più mi sentivo
inebetito e incredulo.
“Quando sono arrivata in ospedale, mi hanno fatto la visita al pronto
soccorso e poi hanno fatto scendere zia Lucia per dirle che dovevano operarmi
di appendicite.
Mia zia era d’accordo, visti gli esami appena fatti. Io ero spaventata ma
il dolore era fortissimo e allora pensai che forse avevano ragione: meglio fare
l'operazione."
Eliana singhiozzò un poco e poi riprese a parlare.
"Mi misero su una lettiga e mi portarono su al reparto, in una stanza
dove ero da sola.
Mi fecero indossare un camice senza null'altro indosso. La sera, dopo la
cena, mi venne a chiamare una persona che si presentò come l'anestesista.
Mi disse di seguirlo.
Mi accompagnò in una stanza dove c'era un altro uomo, più vecchio
dell'anestesista; disse di essere il chirurgo che il giorno dopo mi avrebbe
operato.
Mi dissero di stare tranquilla e che era prassi, prima dell'intervento,
chiedere delle cose utili a gestire al meglio l'intervento.
Appena mi sono seduta, hanno cominciato a farmi mille domande:
- Quanti anni hai?
- Che malattie hai avuto?
- Che medicine prendi?
- Hai un ragazzo?
- Prendi la pillola?
...quando mi hanno fatto questa domanda sono vistosamente arrossita. E loro
hanno ripreso le domande insistendo su questo punto:
- Ce lo devi dire! Perchè se la prendi dobbiamo regolarci su come
dosare l'anestetico.
- Tanto è inutile che neghi, perchè ce lo ha già detto tua zia. Volevamo
solo la tua formale conferma.
- Sappi che se non ci metti al corrente di tutto, noi rischiamo di
sbagliare anestesia e tu rischi di non svegliarti più.
- Noi rischiamo la prigione per la tua scempiaggine!
- E non ci va per niente di correre questo rischio.
Marco, che potevo fare?”
La guardai, perplesso. Dopo un istante di esitazione Eliana ricominciò a
parlare: “Confermai che prendevo la pillola".
- Oh! Vedi che non ci voleva molto? Mica ti mangiamo! siamo dottori, noi!
- Che marca e che dosaggio?
Dopo aver risposto a queste domande si sono entrambe avvicinati a me,
riprendendo quel tono minaccioso:
- Ma i tuoi genitori lo sanno?
- Sei minorenne, come mai prendi la pillola?
- Dai! Vieni qui e sdraiati, fammi vedere...
Il chirurgo mi afferrò per un polso e mi fece stendere sul lettino. Provai
a dire, come mi aveva suggerito la ginecologa che si, la prendevo, ma solo
perché il ciclo non era regolare e quella pillola serviva appunto a
normalizzarlo.
Ma loro non mi ascoltarono nemmeno.
Appena stesa, i due si posizionarono uno da una parte e uno dall'altra, mi
aprirono le gambe e cominciarono ad osservare in mezzo alle mie cosce.
Il chirurgo si mise dei guanti e cominciò a toccarmi proprio lì.
Non ero mai stato toccata così da una persona grande.
Mi faceva paura.
A un certo punto, dopo un po' che stava toccando, guardando il mio sesso da
molto vicino, il chirurgo disse ad alta voce:
- Eh, si. non è più vergine. E da parecchio tempo, sembrerebbe. Altro che
pillola per regolare il flusso...
- Questa puttanella la da’ a destra e a manca e vuole farci credere che
Cristo è morto di freddo!
- Pure la zia s'è bevuta la storiella del ciclo?
- Valla a chiamare, va...
Marco, credimi! Ho protestato! Ho detto che Cristo non c'entrava nulla e
che io facevo l'amore solo col mio ragazzo
Alle loro risate, li ho anche insultati gridando che non erano affari loro
ma intervenne l'anestesista:
- Dotto', qui la cosa è grave.
- Tu, intanto, va a chiamare la zia, si, insomma, la caposala...
- Ah, Si. La zia la chiamiamo di sicuro. Ma se lei ora non fa quello che
vogliamo noi, dopo la zia, dobbiamo informare subito i genitori.
- E certo! Qui ci sono gli estremi per una denuncia per violenza sessuale.”
“Una denuncia!?” balbettai io, sgranando gli occhi
E lei: “Oh, Marco! il terrore per quella la minaccia mi immobilizzò. Provai
una paura terribile.
Tu sai com’è mio padre!. Se viene a sapere che non sono più vergine, dopo
tutte le sue raccomandazioni, quello prende il fucile e ti spara!"
Non sto a dire che confusione mi assalì a quelle parole.
Io lo sapevo bene che il padre ne sarebbe stato capace.
Lo aveva minacciato varie volte, mentre lucidava il suo fucile da caccia,
mettendomi in guardia da eventuali ‘passi falsi’, come li chiamava lui…
Ma nonostante questo, in quel momento io non temevo il padre di lei.
No.
Quel che temevo di più era cosa altro avrebbe potuto confessarmi la mia
fidanzatina.
"E tu, Cosa hai detto? cosa hai fatto". Le dissi.
Lei dapprima mi guardò smarrita, poi scoppiò in un pianto incontrollabile,
inarrestabile. L'abbraccia per rasserenarla ma intanto le mie paure si
sommavano ad una insolita quanto insana emozione.
Cercando di controllare i sospetti che mi assalivano, la rassicurai che non
avrebbe mai e poi mai perso il mio amore, il mio affetto, la mia stima...
Dopo un bel po’ lei che piangeva, finalmente si placò. Riprese a parlare e
i miei sospetti trovarono una incontrovertibile conferma.
Con lo sguardo basso, mi disse che i due medici, avvantaggiati dalla semi
nudità di lei, con calma e sistematicamente, la palparono ovunque. tacque,
prese fiato, si asciugò le lacrime e guardandomi negli occhi mi confessò che se
la scoparono, tutti e due.
Disse proprio così: "Mi si sono scopata. Tutti e due!"
I miei sospetti erano ormai una certezza. la mia ragazza, la mia
fidanzatina aveva subito violenza. Faticai a mantenermi lucido. Quel che provai
in quel momento, non riesco a spiegarlo se non dicendo che ero incazzato ed eccitato
al tempo stesso. La rabbia mi indusse a pensare: "Ora vado là e li
massacro, 'sti bastardi." Ma ero curioso e inspiegabilmente
eccitato. Alla mia domanda di come avvenne, riprese sommessa e con lo sguardo
assente, dicendo in maniera diretta e sintetica che mentre uno le sborrava in
fica, l'altro glielo metteva in bocca, scambiandosi i posti più volte.
Nel frattempo ridevano, la insultavano, la minacciavano… “Questa troietta
ha proprio una fichetta stretta stretta. Mi sa davvero che scopa poco. Oppure
gliela da poche volte al suo fidanzatino”
"Chissà? magari ce l'ha troppo piccolo, quel cornuto del suo
ragazzo"
"E' vero, troietta, che non racconterai nulla a nessuno?"
“Con tutta la sborra che le stiamo scaricando in pancia, resterà in cinta
con tutta la pillola. Ah! ah! ah! ah! “
“Magari! così ce la facciamo riportare dalla zia e le riempiamo di nuovo
l’utero mentre è ancora in cinta. Ah! ah! ah! ah! “
Il mio sesso era cresciuto ormai in maniera troppo evidente.
Accavallai le gambe per nascondere la mia eccitazione alla mia ragazza. Non
capivo cosa mi stava accadendo: ero furioso ed eccitato.
Dopo una breve pausa, mentre lei riprendeva lucidità e io cercavo di
tradurre in termini logici quella mia reazione, Eliana riprese il racconto.
Ormai non aveva più freni, ricominciò il suo sfogo senza nemmeno
controllare più i termini. Continuò dicendo che il chirurgo aveva
anche provato a incularla.
"Vigliacco, figlio di puttana!" dissi a voce alta.
Ci ha provato ma senza riuscirci, aggiunse. Si, perchè a parere
dell’anestesista il culo era vergine e il cazzo del dottore era troppo grosso.
Seppi poi che ci riprovò il giorno dopo, riuscendoci. Da lì a poco
Eliana mi avrebbe raccontato come e quando.
Il mattino successivo, nel giorno dell'operazione, il portantino mentre
l'accompagnava in ascensore, sorridendo le disse: "Bella piselletta. ci
divertiremo io e te".
Ma Eliana non fece in tempo a capire a cosa alludesse perché il valium che
le avevano somministrato poco prima stava facendo il suo effetto.
Che qualcuno le avesse sfondato il culo, lei lo dedusse dal dolore che
provò nei due giorni successivi all'intervento.
Era sicura, disse, che approfittando dell'effetto dell'anestesia, il
chirurgo e l'anestesista, ai quali si aggiunse il portantino, prima e dopo
l'intervento, si alternarono scopandola e inculandola ripetutamente.
Ci furono attimi di silenzio.
Per la rabbia faticavo a ragionare sull'accaduto, con l'aggravante che non
capivo perchè fossi così eccitato a sentirla raccontare quelle cose. E più
mi figuravo la scena del suo racconto, più mi eccitavo.
Cazzooo!
Non è normale!
NON è possibile.
Più mi immaginavo i volti e i corpi di sconosciuti che si abusavano della
mia ragazza e più sentivo il mio fiato farsi corto dall'eccitazione.
Ero sconvolto dalla mia reazione involontaria, ancor più di ciò che Eliana
mi stava raccontando!
Mi domandavo: "Perché ora ho bisogno di menarmi l’uccello?"
Avrei voluto scoparmela e incularla anche io, in quel momento, senza
neanche spogliarla. Avrei voluto leccarle la fica e non ne capivo il motivo,
allora. Forse cercavo tracce di quell'abuso e volevo goderne anch'io?
Prima che i nostri sguardi potessero incrociarsi, lei riprese la sua
confessione.
Dopo un paio di giorni dall'intervento, lei si ricordò che durante la prima
visita, la sera prima dell’operazione, mentre il chirurgo provò a farle il culo
senza riuscirci, l'anestesista gli disse di non avere fretta e che l'indomani,
con calma, si sarebbe tolto anche quello sfizio.
Nel ricollegare quelle parole al dolore causato allo sfintere e al condotto
anale dei giorni successivi, Eliana spalancò gli occhi.
La guardai interrogandola con lo sguardo.
"Si! E' vero! L'hanno fatto davvero! Ora ricordo...
Dopo l'operazione, ero sulla barella; mi stavo svegliando. Ero col bacino
sul bordo di quella lettiga e c'era il portantino che da davanti mi stava
inculando mentre gli altri due mi tenevano le gambe sollevate.”
Ricominciò a singhiozzare forte.
Era chiaro: approfittando dell'anestesia e del rilassamento dello sfintere,
quello che lei ricordava come il grosso cazzo del chirurgo, deve averla
penetrata in profondità.
L’abbracciai ancora, coccolandola e cercando di nascondere quel che di
incontrollabile si stava manifestando all’altezza del mio pube.
Si scusò con me per come mi aveva accolto quel pomeriggio, quando sono
arrivato in ospedale.
La sua reazione, disse, era dovuta alle continue palpate e sborrate in
bocca del portantino. Era stordita e pensava che ancora una volta fosse lui a
venire ad approfittare della sua bocca.
Immagino che il porco, approfittando che quell'ospedale ha pochi degenti e
che la mia ragazza era da sola nella stanza, chiudeva la tenda paravento,
isolando il letto alla vista, e non si perdeva occasione per godersi la bocca
della mia ragazza mentre la palpava dappertutto.
E lei, che non aveva mia voluto che io le venissi in bocca perchè la cosa
le dava la nausea, fu costretta ad ingoiare la sborra di quel porco,
innumerevoli volte.
“Quante, quante volte? ‘sto bastardo farabutto!” la incalzai.
Non se lo ricordava esattamente. Sei, otto, dieci... forse anche di più
Insomma, disse che quando l'ho baciata e chiamata per nome, lei dormiva e
pensava fosse di nuovo quel porco del portantino.
Ora sudo...
Sto sudando...
Ho il sangue alle tempie che mi batte forte e la pressione mi sta
riconglionendo.
E ora, come allora, provo quella strana sensazione di rabbia mista ad un
insano piacere.
Un piacere che è lievitato nei mesi successivi mano a mano che la rabbia
diminuiva.
A volte, da solo nel mio letto, prima di addormentarmi ripensavo alle
parole della mia fidanzatina. Rivedevo, o dovrei dire rivivevo, le scene che mi
aveva descritto.
Non ne capivo il motivo ma mi eccitavo e il mio cazzo cresceva nonostante
non ne condividessi razionalmente la reazione.
A volte, mentre facevamo l'amore, mi ricordavo delle sue parole e la
scopavo con foga.
Ora, se ci ripenso, posso soltanto darmi sollievo masturbandomi più e più
volte di seguito. E godendo come un cornuto a ripensare alla mia ragazza
riempita di sborra da quegli sconosciuti. Ora, solo dopo molto tempo, ho capito
perché durante il suo racconto avrei voluto leccarle la fica.
Ecco... credo che risalga a quell'episodio, la mia voglia di corna.
Una voglia che da dipendenza.
Una dipendenza che ho sublimato con Paola, la mia seconda moglie.
Ma questo lo racconterò in seguito.
troietta ragazzina ragazzino minore puttanella vergine sverginata sverginato sorella abusata abusato incesto figlia papà padre
bel racconto
RispondiEliminanarrato bene e che fa vivere quello che racconti
bravo!
se è una storia vera mi chiedo come cazzo hai fatto a diggerirla
RispondiEliminacredo di averlo letto una decina di volte da quando l'hai pubblicato e ogni volta mi sono fatto in mano. e non capisco cosa mi ecciti tanto, perchè ho provato piacere sempre in punti diversi del racconto
RispondiEliminaper quanto possa essere di fantasia credo che queste cose accadano davvero negli ospedali. la cosa non mi piace in generale ma su questo racconto, si... bravo
RispondiEliminaPiù lo leggo e più mi faccio in mano. che sensazione devastante deve essere vivere questa situazione: da una parte eri geloso ma dall'altra eri arrapato come un vecchio cornuto. Ma eri giovane. Me la sono figurata la tua ragazza alle prese con quei porci
RispondiEliminaNella vita vera detesto questo genere di cose ma questo racconto mi ha fatto godere un sacco di volte
RispondiEliminadopo averlo letto e riletto non so quante volte continua ad essere uno dei racconti in rete che preferisco
RispondiEliminaTerribile quanto eccitante. Bel coraggio a raccontare 'ste cose di questi tempi...
RispondiEliminaSilenzi
RispondiEliminaSofferenza
Sottomissione
Scelleratezza
Sborrata
io l'ho vissuta davvero una cosa così. e non è stata molto divertente. 'tacci tua
RispondiElimina